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Coronavirus e tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori

A fronte dell’emergenza epidemiologica in atto, sono stati emanati, anche a breve distanza l’uno dall’altro, diversi provvedimenti governativi volti a fronteggiarla.

Da ultimo, è stato emanato il DPCM  del 1° aprile scorso, il quale ha esteso fino al 13 aprile prossimo la sospensione di tutte le attività produttive, ad esclusione di quelle ritenute strategiche (per la cui elencazione si rinvia all’allegato 1 del D.M. del 25 marzo 2020) nonché di quelle attività che, pur non essendo ricomprese nell’elenco, possono operare in quanto funzionali alle filiere essenziali.

Alla luce di tale ultimo atto del governo – che dunque, di fatto, si è limitato a consolidare quanto già previsto nei precedenti interventi normativi – è ora possibile fare il punto della situazione in tema di salute e sicurezza dei lavoratori.

È, infatti, evidente che, in questa peculiare situazione, sull’imprenditore la cui attività non sia stata sospesa gravi, più che mai, l’imperativo di assumere tutte le misure che si rendono necessarie al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei propri dipendenti e dei propri collaboratori.

Tale dovere è innanzitutto un dovere di carattere generale, non limitato all’attuale situazione di emergenza, e discende dal principio dettato dall’art. 2087 c.c., il quale prevede che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Ma tale dovere trova fondamento anche in ulteriori normative, prima fra tutte il D.lgs. n.81/2008, il quale prevede che il datore di lavoro sia tenuto a rispondere in caso di:

  • omessa o insufficiente sorveglianza sanitaria (art. 41 D.lgs. 81/2008);
  • mancata valutazione dei rischi derivanti dall’esposizione agli agenti biologici presenti nell’ambiente di lavoro (art. 271 D.lgs. 81/2008).

Dalla violazione di tali disposizioni discendono conseguenze piuttosto gravi, dal momento che il datore di lavoro potrebbe essere chiamato a rispondere dei reati di omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.

Tra le misure più stringenti da adottarsi in questo delicato momento, la prima è senz’altro rappresentata dall’adozione del c.d. “lavoro agile”, modalità di lavoro fortemente raccomandata dalle autorità fin dall’inizio della diffusione di questa epidemia.

Ma per quelle attività che sono incompatibili con le modalità di lavoro agile e con il telelavoro, gli imprenditori devono dapprima aggiornare il documento di valutazione dei rischi in considerazione del “rischio agente biologico” e poi assumere misure concrete, idonee ad incidere su aspetti organizzativi dell’attività aziendale.

A tal fine, è consigliabile che gli imprenditori consultino il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto in data 14 marzo 2020, il quale detta utili linee guida volte ad agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio. Vengono così richiamate misure quali  il distanziamento fisico tra i lavoratori, piani di turnazione, limitazione degli spostamenti all’interno dei siti, controlli all’ingresso della temperatura corporea, scaglionamento degli orari di entrata/uscita e contingentamento dell’accesso agli spazi comuni, predisposizione di presidi di protezione individuali quali guanti monouso e mascherine, sanificazione periodica degli ambienti beneficiando, a tal fine, degli appositi incentivi previsti dai vari provvedimenti governativi , adozione di piani di emergenza in caso di contagio e misure di sorveglianza sanitaria, in stretto coordinamento con il medico aziendale e così via. Un aspetto interessante previsto da tale protocollo è, inoltre, la costituzione di un Comitato con funzioni di controllo e verifica delle regole (con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e del RLS, ossia il Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza), al fine di avere maggiori garanzie riguardo ad una corretta implementazione dei protocolli adottati in azienda.

Vale la pena, altresì, precisare che il decreto “Cura Italia”, all’art. 42, ha qualificato come “infortunio” i casi accertati di infezione da coronavirus in occasione di lavoro, con conseguente possibilità di beneficiare degli strumenti previsti dalla vigente legislazione a tutela dell’infortunato e senza che ciò comporti un aumenti dei premi assicurativi in capo ai datori di lavoro, privati o pubblici che siano. Tale disposizione prevede, inoltre, come tali prestazioni INAIL siano erogate anche durante il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato (con la conseguente astensione dal lavoro).

Detto ciò, è necessario soffermarsi su un ulteriore aspetto di non minore importanza: l’adempimento degli obblighi informativi. Il datore di lavoro, infatti, è tenuto ad aggiornare costantemente il proprio personale riguardo alle comunicazioni e ai provvedimenti emessi dalle autorità, attraverso la consegna o affissione all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dell’azienda di appositi dépliant informativi oppure l’istituzione di un’apposta area nel sito web aziendale ove indicare i contatti telefonici e di posta elettronica del responsabile del piano di emergenza (a cui inoltrare le segnalazioni utili a identificare eventuali pericoli), i contatti del medico competente (a cui rivolgersi in caso di sintomi influenzali o problemi respiratori) ed istruzioni chiare e comprensibili in ordine alle misure da adottare per ridurre l’esposizione al rischio.

A questo punto è doveroso evidenziare come le sopra citate responsabilità non colpiscono soltanto l’imprenditore personalmente, ma si estendono anche alla società ai sensi del D.lgs. 231/2001, il quale prevede nel novero dei c.d. “reati presupposto” le fattispecie di cui agli artt. 589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni personali colpose) del codice penale, che vengono in conto in caso di violazione della normativa antinfortunistica.

Ne consegue che, in caso di mancata adozione di misure adeguate, la propria azienda potrebbe essere condannata non solo a sanzioni pecuniarie, ma anche alla confisca di beni e altre sanzioni interdittive, di cui all’art. 9 del D.lgs. 231/2001. Tali misure possono andare dal divieto di pubblicizzare i propri prodotti o i propri servizi, alla esclusione o revoca di agevolazioni, finanziamenti o contributi e alla sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni, fino alla interdizione dall’esercizio dell’attività d’impresa.  Tale responsabilità può essere esclusa o limitata nei casi in cui la società abbia adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo al fine di prevenire la commissione degli specifici reati presupposto, ivi trattati. Pertanto l’Organismo di vigilanza, istituito presso quelle aziende già dotate di modello organizzativo, sarà chiamato a verificare il rispetto e l’adeguatezza di tutte le misure, in modo da poter intervenire laddove vengano colte delle lacune, in un’ottica di assoluta prevenzione.

In ultima analisi, pare opportuno rammentare che gli imprenditori che non osservino le raccomandazioni dei provvedimenti del Governo incorreranno nelle sanzioni amministrative di cui all’art. 4 del D.L del 25 marzo 2020, in virtù del quale, salvo casi eccezionali, non si applicano più le sanzioni contravvenzionali di cui all’articolo 650 c.p. o di ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità (tra cui, a titolo esemplificativo, l’art. 260 del T.U delle Leggi Sanitarie), bensì la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000. Inoltre nel caso in cui la violazione attenga alle disposizioni di cui all’art. 1, comma 2, lettere i), m), p), u), v), z) e aa), del D.L del 25 marzo, si applicherà l’ulteriore sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni. Ne consegue che il decreto del 25 marzo, se da una parte ha comportato una depenalizzazione della violazione delle misure restrittive dettate dalle autorità, dall’altro ha imposto sanzioni pecuniarie e accessorie più pesanti e incisive, irrogate direttamente dall’Autorità amministrativa, con conseguenze più gravi in caso di recidiva (cfr. D.L. 25 marzo, art. 4, comma 5).

In questo momento storico, quindi, agli imprenditori e alle aziende in generale, indipendentemente dalle loro dimensioni e strutture organizzative, è richiesto di sapersi riorganizzare in tempi rapidi, sia facendo ricorso alle proprie risorse interne sia rivolgendosi a professionisti esterni che possano guidarli nell’incombenza di doversi uniformare alle disposizioni emanate per fronteggiare l’epidemia.