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Il futuro delle start-up innovative post emergenza covid-19

La diffusione dell’epidemia da Covid-19 su scala globale sta portando a una grave recessione economica. Tra i soggetti che stanno subendo gli effetti pregiudizievoli di questa crisi dilagante vi sono certamente le start-up. Queste giovani realtà, infatti, in specie quelle innovative, spesso si dedicano quasi esclusivamente ad attività di ricerca e innovazione le quali, perlomeno nel breve periodo, non sono in grado di generare entrate. Pertanto, esse vivono perlopiù di forme di finanziamento solitamente erogate da Venture Capitalist e Business Angels oppure derivanti da operazioni di crowdfunding che, tuttavia, in questa delicata congiuntura economica, possono mancare.

Tra l’altro, nonostante il riconoscimento del ruolo chiave svolto dalle start-up per l’economia e la competitività del nostro Paese – in termini di sviluppo innovativo, tasso di occupazione e valore aggregato della produzione – le istituzioni non hanno ancora emanato alcuno “start-up emergency act” volto a coadiuvarle, come invece è avvenuto in diversi altri paesi europei (basti pensare al “Piano Marshall” per le start-up da 1,5 miliardi di sterline annunciato da Downing Street o a quello da 4 miliardi di euro varato dal governo francese).

Invece, il Decreto Liquidità, sul quale erano riposte le aspettative delle start-up nostrane, non ha previsto presidi adeguati a tutela di questo settore. Si consideri come, ad esempio, la concessione dei prestiti garantiti dallo Stato, sia ancorata a parametri di fatturato, con la conseguente esclusione dal beneficio delle start-up che, per questioni fisiologiche e anagrafiche, di fatturato sostanzialmente non ne hanno.

Non stupisce, quindi, l’attivarsi di numerose associazioni di categoria, a livello nazionale ed europeo, che hanno avanzato richieste di aiuti consistenti e urgenti.

Inutile dire, quindi, che nel settore si è in trepidante attesa di una risposta da parte del Governo rispetto alle iniziative richieste a gran voce; reazione che potrebbe manifestarsi già con l’annunciato decreto legge in uscita nei prossimi giorni.

In ogni caso, è innegabile l’apporto indispensabile fornito dalle start-up nella gestione attuale della pandemia. Attraverso la partecipazione a bandi pubblici, a “call for ideas” o a iniziative individuali, il mondo delle start-up innovative si è mobilitato al fine di trovare le più disparate soluzioni: chi ha convertito la propria attività tessile in produzione di mascherine; chi si è dedicato alla stampa in 3D di valvole di ricambio per i respiratori; chi ha ideato o sta ideando app “salva-coda” nei supermercati, app di tracciamento o per lo svolgimento delle videoconferenze per rendere più agevole lo smart-working; chi ha realizzato visori in grado di rilevare la febbre a distanza, come utile strumento messo a disposizione degli imprenditori in vista della Fase 2 e della riapertura delle aziende.

Ma le start-up innovative, c’è da scommetterci, svolgeranno un ruolo ancora più cruciale nel rilancio dell’economia nella fase successiva all’epidemia. Una volta superata questa emergenza, si aprirà uno scenario di vita completamente mutato: assisteremo a un cambiamento nel modo di vivere le relazioni sociali, di lavorare e fare business, nei consumi. In tal senso, assumerà, senza dubbio, un ruolo ancora più preponderante l’innovazione tecnologica e gli imprenditori dovranno dare prova di sapersi reinventare, rispondendo prontamente alle nuove richieste del mercato.

D’altronde, proprio a seguito della recessione finanziaria del 2008, sono nate e hanno proliferato nuove forme imprenditoriali di successo come AirBnb e Uber, fondate sulla produzione di guadagni attraverso la condivisione di beni di proprietà come risposta alla crisi di liquidità.

Pertanto, molte start-up innovative, che attualmente stanno concentrando le proprie energie nel tentativo di fornire gli strumenti necessari per fronteggiare questa epidemia, si troveranno nelle condizioni di dover riconvertire la propria attività e diventare pioniere di nuovi trend economici.

In quest’ottica potranno tornare utili piani di “open innovation”, ossia forme di cooperazione e collaborazione tra start-up e grandi imprese, volte a creare una perfetta armonizzazione e sintesi tra le capacità creative della prime e le risorse e i processi di industrializzazione delle seconde.

Ecco perché, in vista di una futura rinascita, per le start-up innovative sarà ancor più di primaria importanza sapere come valorizzare la propria proprietà intellettuale, in una duplice ottica di tutela della loro attività creativa e di massimizzazione dei profitti derivanti dai loro beni intangibili.

È evidente, infatti, che i diritti di proprietà intellettuale, se ben sfruttati, possono divenire un valido strumento per il raggiungimento degli obiettivi strategici societari. Un software può essere dato in licenza, un’invenzione può essere ceduta a un buon offerente, un brevetto o un marchio registrato possono essere usati per attrarre finanziamenti. Non si esclude, inoltre, che le stesse istituzioni, al fine di superare la crisi, decideranno di investire in maniera più decisa sul processo di innovazione e quindi di puntare, in primis, sulle start-up innovative, con la previsione di agevolazioni a loro favore.

Per tale motivo, fin da ora, dovrà essere prestata grande attenzione nella scelta di un marchio efficace, ben valutato quale sia la migliore strategia brevettuale, convenientemente predisposto le tutele da adottare a protezione dei propri segreti commerciali e tempestivamente deciso quali misure assumere per minimizzare il rischio di contraffazione.

Nel farlo, diverrà fondamentale per gli startupper rivolgersi già in questa fase a dei professionisti, in modo da essere pienamente edotti circa le opzioni a loro disposizione e opportunamente coadiuvati nelle decisioni da intraprendere al fine di mantenere e sfruttare al meglio il proprio vantaggio competitivo.

Va infatti considerato, ad esempio, che la divulgazione del prodotto ne rende, in linea di massima, impossibile la successiva brevettazione, sicché è opportuno che la start-up provveda al deposito del brevetto (o del disegno o del modello) prima del lancio sul mercato o sulle piattaforme di crowdfunding. In questo senso, per coprire i costi relativi ai servizi del consulente, possono essere sfruttati i voucher 3i previsti nell’ambito delle agevolazioni per le start up innovative, iscritte nell’apposita sezione speciale del registro delle imprese.